PiÙ e meno

Se si potesse fotografare l’animo…


A parte la difficoltà di scrivere su un treno ad alta velocità ( e alte vibrazioni), come tutte le cose fatte su uno di queste macchine, pipì compresa. La vera difficoltà è quella di una giornata dove l’umore è aggrovigliato, al pari di una condizione fisica simile, insomma le famose tante idee rigorosamente mischiate e confuse. Aver lavorato su di una diretta di una partita con la notizia della morte di uno dei miei miti di sempre, e che ha accompagnato una buona fetta della mia vita lavorativa e di tifoso, non mi ha messo nelle migliori condizioni possibili.
Se poi aggiungiamo una cena che ha accompagnato la notte in modo molto presente e continuo, si ottiene un giorno dopo che ne trascina le conseguenze… Come nelle migliori ricette aggiungiamo come contorno, guardando fuori dal finestrino del treno, appena usciti da Roma e in viaggio verso Milano, un nebbione degno della migliore Valpadana ( peccato che siamo ancora tra Lazio e Toscana) che completa il quadro del subbuglio viscerale e di testa. Avrei voluto scrivere di emozioni, di sensazioni e di visioni e invece mi ritrovo a sgrovigliare nodi fastidiosi del corpo e dell’anima.

35 piu’ o meno…

35 anni fa…

Una bella fetta di vita, cominciata “in bianco”… Era appena finita la nevicata del secolo, quella del 1985, cominciata il giorno del mio compleanno, il 13 e terminata quattro giorni dopo aver imbiancato e letteralmente sepolto Milano e tutto il nord e centro Italia sotto una coltre bianca. Molti, negli anni mi hanno chiesto “…cosa ti viene in mente di sposarti a gennaio?…” Prima non avremmo avuto pronta la casa e dopo si sarebbe spostata troppo in là il tutto e quindi, visto che era una data “di famiglia” abbiamo deciso per il 19, data anche di nascita di Giovanni Tranquillo, nonno Giovanni.
Chi lo poteva immaginare che sarebbe venuta giù tanta di quella neve da impedire ad una buona fetta dei miei parenti e amici (distribuiti equamente da Roma in su) di partecipare alle nozze e invece da consentire alla quasi totalità della parentela di Nadia, sparpagliati si ma solo in Brianza, di farlo abbastanza facilmente…
I “contro” è facile capirli, tra i quali la sostituzione all’ultimo momento del mio testimone, fratturatosi un arto e impossibilitato a guidare con tanto di gesso. Poi il rischio di non poter celebrare proprio il matrimonio, visto che il sagrato della chiesa di Sant’Anastasia a Villasanta era stato usato come scarico della neve tolta dai tetti del paese, bloccando completamente l’accesso alla chiesa e se non fosse stato per una ruspa richiesta all’ultimo momento …
Se parliamo delle foto , l’argomento appartiene ad entrambe le categorie: pro e contro.
I primi perché ho delle foto che sembrano provenire da qualche località di montagna , con panorami meravigliosi, completamente imbiancati e un’atmosfera praticamente natalizia.
I secondi, perché Nadia con tanto di abito nuziale e scarpe decisamente inadatte alla situazione ha dovuto fare uso in prestito di stivali di gomma, pelliccia per non gelare e tutto quello che era necessario per la tortura delle varie inquadrature.
Altro pro? Beh, per chi era riuscito ad arrivare, le porzioni abbondanti al ristorante date da quei trenta non pervenuti a causa del maltempo.
Poi sono passati 35 anni…

ATD 2

..Proseguiamo, cercando di non modificare il testo originale, anche perchè se la storia è di fantasia, i personaggi sono quasi veri…

Sia quel che sia, più avanti mi venne spiegato dal responsabile dell’ufficio personale intertemporale, il Dottor Meco (o Stica, non ricordo bene), che rientravo in un programma di integrazione del personale dovuta a carenza di personale volontario. Allora e adesso potrebbe sembrare una cosa inverosimile, vista la situazione attuale e di allora, ma il servizio lavorativo sarebbe diventato obbligatorio, visto che grazie ad alcune risorse naturali divenute essenziali l’Italia era diventata in assoluto il paese con meno problemi al punto di non avere più bisogno di lavoratori. Può sembrare un paradosso , ma tutto, proprio tutto veniva dall’estero. Tutto, anche i servizi assistenziali: dagli ospedali, fatti funzionare da personale svizzero, più a buon mercato e disponibile nei confronti degli italiani, alle chiese servite mirabilmente da un clero russo e cinese.
Insomma l’italiano aveva un solo grande problema da risolvere, quello del tempo libero, come passarlo e cosa fare per passarlo.
E qui si torna ad un vecchio/nuovo vizio mai passato: la televisione, o meglio la Tri-visione. A questo riguardo la situazione lavorativa si complicava : anche gli ultimi tra i lavoratori stranieri, tipo gli americani o i giapponesi, si rifiutavano di metter mano a telecamere et similia. Non per altro, ma per evitare grane: se si pensa che la teledipendenza era praticamente decuplicata dai miei tempi, si può facilmente immaginare che ogni singola cosa vista in Tri-vi veniva letteralmente sezionata e amplificata da ogni genere di informazione esistente. Avete presente una finta di Maradona nel 1987? Ecco , l’impatto di un programma televisivo nel 2084 sta alla suddetta finta come la cronaca di un incontro aziendale di Polo commentato al dopolavoro della Fiat…
Il rischio per chi si metteva sia dietro che davanti alle telecamere. Inciso: perché Tri-Vi e non Tricamere? Perchè ogni volta che veniva usato questo termine i responsabili dei Service che noleggiavano i mezzi ti mettevano tre telecamere al posto di una per lucrarci su, dicendo che non avevano capito… Riprendo il discorso… il rischio era enorme. Come essere al Colosseo 21 secoli prima, come essere scoperto a “leggere” una copia di Playboy durante un congresso del Woman’s Lib, come cercare di transitare all’ora dell’uscita dei bimbi da un asilo con una macchina in mezzo a quelle delle mamme col Suv.
Da ciò si capisce uno dei motivi per il quale ero stato tempotrasferito 97 anni dopo, visto che nel Network statale nato dalla fusione di “mamma” con “suemittenza” non voleva lavorare volontariamente nessuno come operativo… Certo i funzionari esistevano anche allora, ma quelli chi li ammazza…

MIX DI EMOZIONI

Da Natale fino alla fine di Gennaio, sono emozioni che si palesano, a volte lievi o a volte più intense. Quella che non vorrei provare è quella che riguarda la persona nella foto: mia mamma, che il 10 di questo mese se n’è andata in silenzio ormai diciassette anni fa e nonostante comincino ad essere tanti è come se fosse ieri. L’attesa di una telefonata che quotidianamente ci facevamo che non arriva. Provo più volte a chiamare io con lo stesso esito. A questo punto chiedo a una persona cara che stava vicino a lei di passare e provare a citofonare e niente. Il resto è facilmente immaginabile. Io ero talmente sconvolto che una parte di quella sera l’ho rimosso e se non ci fossero stati mia moglie e altre persone care non sarei stato capace di affrontare la situazione. E questa emozione si ripropone ogni anno in questi giorni, alleggerita un pochino dal 13 e dal 14 gennaio, il mio compleanno e quello di mio fratello che a furia di chiedere a suo tempo un fratellino, se lo vide recapitare quasi per il suo decimo compleanno… Poi ci sono tanti piccoli contorni, le feste passate con la famiglia, le telefonate tra me e un mio amico e compagno di classe, nati a pochi giorni di differenza e che non ci dimentichiamo mai di farci. Insomma, come ho intitolato questo post: un mix di emozioni. E’ vero che emotivo come sono è difficile evitarle, basta che capiti o che veda qualcosa che tocca le mie (troppo) sensibili corde e il groppo allo stomaco o l’occhio che si appanna o, peggio ancora, la voce che si spezza mentre le racconto. Quest’anno, insieme a tutto questo, siamo riusciti a organizzare una rimpatriata di famiglia, cosa rara e quindi anche tanto importante. Non siamo più in tanti purtroppo ,a questo l’ha resa ancora più particolare ed emozionante, anche perchè c’era anche la prima arrivata della nuova generazione…

poi ricomincio col libro…

Intanto parlo (scrivo…) di questo capodanno, del fatto che ultimamente sento di nuovo la capacità di commuovermi con niente, o per lo meno con cose che apparentemente sono di poco conto.
Le emozioni riemergono facilmente, la lacrima appanna gli occhi con poco e il desiderio di dare/avere affetto diventa quasi una necessità. Il desiderio di contatto con le persone e gli animali cari si integrano con altre purtroppo impossibili come il voler comunicare con chi non c’è più fisicamente ma che è presente nel cuore.
Da lì parte la ricerca nella memoria di ricordi cari, di far riemergere voci, immagini, persino profumi e odori che ci riportano indietro… Le feste, quelle legate al Natale e dintorni, sono quelle più efficaci e riescono benissimo nello sganciarti dalla routine quotidiana per riportarti in altri momenti più caldi , più tuoi.
Di tutto ciò cosa rimane? Per fortuna tanto, basta fare spazio dentro: far in modo che le emozioni non vengano compresse ma possano uscire liberamente, senza vergogna. Una lacrima non è un dramma o una vergogna, è essere veri, è dimostrare che si ha qualcosa ancora dentro e che non siamo solo un involucro con reazioni prevedibili e incasellate. Avere il coraggio di essere se stessi , senza vergognarsi male non fa, anzi.
Mi sono reso conto che volevo scrivere di tutt’altro ma poi sono scivolato sulle lacrime… e questo è il risultato. Ieri, nell’ultima passeggiata con Mou del 2019 abbiamo incontrato un signore attempato e gentile con il suo cagnolino, anche lui (parametrando le età) attempato come il suo padrone. Abbiamo cominciato a chiacchierare e siccome il suo bassottino andava d’accordo con Mou abbiamo fatto una buona parte di strada con i suoi racconti di una vita di cui so molto, e del suo cagnolino del quale era preoccupato data la “sua” veneranda età… Meravigliosi entrambi, auguro loro ancora tanto tempo insieme, perché dovrebbe essere giusto così.
Dovrebbe essere così per tutti. Dove c’è affetto.