A volte sono spazi che rimangono vuoti, altre questi spazi si riempiono al punto che fai fatica a discriminare una cosa dall’altra e quando la qualità di quel che c’è dentro cala, diventa veramente difficile venirne fuori.
Sto parlando di fatti, di emozioni, di cose ma anche di pensieri e spesso di ricordi, che quando trovano la strada per farsi vedere, scombussolano più di qualsiasi altra cosa …
Un esempio per far capire il significato delle righe precedenti?
In questi giorni ho vissuto un dolore forte. Forte come può essere provocato solo dalla scomparsa di una persona cara, molto cara.
E questo spiega in parte perchè l’ultimo post precedente a questo risale a quasi una settimana fa: la mancanza di serenità, il groviglio di emozioni oltre alla fatica fisica provocata dal lavoro in orari non propriamente ortodossi messi insieme non mi hanno dato la “quadra” per farlo.
In più l’unico lato positivo che hanno i funerali: rivedere persone altrettanto care che per svariate cause ( leggi: vita) si sono allontanate. E anche questo provoca emozioni, quasi altrettanto forti che si mischiano alla tristezza e a quel vuoto che ti lascia la scomparsa di una persona cara.
Inoltre realizzi che questa persona è l’ultima della generazione dei parenti che ti hanno tirato su. Adesso tocca alla mia di generazione, speriamo in tempi ancora lontani. In questo caso, Zia, tu hai proprio contribuito a farlo con me e con altri cugini che hanno trovato nella tua famiglia, insieme a zio Guido un secondo importante punto di riferimento, meno ufficiale, più disponibile e altrettanto affettuoso delle proprie famiglie “ufficiali”. Anche nel rapporto fra voi due zii, c’era un’integrazione tra caratteri diversissimi ma orientati nella stessa direzione. Una sorta di “Sandra e Raimondo” della vita reale, dove i nipoti affiancavano Silvia come se fossimo fratelli e non cugini e dove, quale che fosse il motivo, venivamo sempre accolti come figli.
Mi mancherai zia, così come lo zio da quando se n’è partito, ma sono convinto che nella grande armonia cosmica, vi sarete ritrovati.
E’ inevitabile
Archivio mensile:Settembre 2019
RISENTIRE IL SILENZIO
La scusa ufficiale è la persecuzione degli acufeni… Sono già stato corretto più volte da “quelli che sanno”: è più corretto parlarne al singolare, cioè l’acufene. Ok, ma io ce l’ho bilaterale, da entrambi gli orecchi, anche se prevalente su quello destro, due quindi plurale…
La cosa che mi fa impazzire è che la medicina non è ancora riuscita a trovare una causa e quindi una cura; poi, siccome è un disturbo che il corpo umano si “cura” da solo dando più importanza agli altri suoni, non viene neanche considerato come quello che è: un disturbo che può essere fortemente invalidante. Il sonno è quello che ne risente maggiormente , perchè se durante il giorno i mille rumori nei quali interagiamo mascherano il rumore continuo (nel mio caso un fischio superiore ai 3000Hz…), quando si è nel silenzio del proprio letto, se il sonno non ti abbatte come una legnata dà veramente fastidio fino a toglierti il sonno con quello che segue… Risentire il silenzio, titolo di questo post è una delle cose che desidero maggiormente quando mi fanno la classica domanda dei tre desideri. Andare in una spiaggia deserta e sentire (solo) il rumore della risacca, oppure (solo) il rumore del vento, o anche passeggiando di notte, (solo) i rumori che la caratterizzano, vicini e lontani che siano: un abbaiare di un cane, il rumore dei grilli, o un’ambulanza che si perde via via che si allontana… Poi riguadagnare il silenzio aiuterebbe anche nel perdersi dei propri pensieri, nei ricordi, quelli più lontani che come i rumori devi riuscire ad isolarli per farli emergere. Poi quando passano gli anni, i ricordi e il saperli far riemergere diventa ulteriormente importante, diminuendo le cose che si fanno e che si possono fare e in questo caso il silenzio è molto, molto importante.
TRA IL DIRE E LO SCRIVERE…
“…Indeciso tra giro girotondo, e faccio un round mi faccio un round cacchio scrivi. Sto dettando queste quattro righe mentre siamo in area cani volta praticamente annusando tutto quello che può annusare discettando tutto quello che potevi chattare puntando qualcuno che sta arrivando anche lui nella area cani quindi cane con padrone… E tutte e due, non sapendo di preciso cosa fare. Nel mio caso anche cosa scrivere. Non perché sia obbligato, ma perché le idee sono pochi, mi spiace per benino, e anche tanto confusa… Sembra quasi che più passa il tempo tra un posto all’altro e meno argomenti ci sono da scrivere ma non è così…“
Questo è quello che una App per dettare i testi ha capito da quello che ho detto… Lo chiarisco prima che qualcuno cominci a pensare che sia un analfabeta o che mi sia fumato qualcosa di illegale e stonante. Esperimento fallito. O detti cose molto semplici o non puoi che aspettarti un risultato discretamente “lisergico”.
L’idea che avevo cominciato a sviluppare a voce era relativa al loop che si crea quando smetti di scrivere, in seguito all’agire sempre meno e di come questo sia consequenziale allo smettere di scrivere. Insomma un Uroboro, il serpente che mangia se stesso. E’ una sequenza che va semplicemente spezzata: ricominciare a fare qualcosa, anche minimo, ma farlo e poi reindirizzarlo su cose sempre più utili. Così quando testa e fisico si sono rimessi in moto, si rimette in moto anche la voglia di raccontarlo e così via.
Proprio quello che si capisce dalle prime righe, vero?
Ad aumentare l’effetto freno a mano ci si mette anche un Settembre quasi Novembrino per i colori , tutti sullo spento, con un sole lattiginoso e un cielo spesso opaco. E allora via con la fantasia, prima di ricominciare con la routine delle stagioni sportivo-televisive.
La prima stagione dopo qualche anno in cui, grazie ad un cambio al vertice della nostra struttura, torniamo tutti a fare il nostro lavoro senza delegarlo a collaboratori esterni. Non mancano molti anni alla fine legale del mio lavoro e all’ingresso della sempre più grande categoria degli “umarell-pensionàa” e per fortuna, Padreterno permettendo, li dovrei passare facendo quello che so fare meglio del mio lavoro: il regista televisivo… Certo, il cerchio si chiuderebbe perfettamente se la rete per cui lavoro riacquistasse i diritti del basket, lo sport con il quale mi trovo maggiormente a mio agio…
Chissà, intanto il lavoro è tornato e questa è cosa buona e giusta.
Tempi diversi
Una cosa è scrivere, una cosa è vivere. Mi sono reso conto che la contemporaneità delle due cose è spesso difficile da mantenere .
In questi giorni dove non ho postato quasi niente, dove il mio blog è rimasto vuoto, dove non ho inviato filmati né ho postato foto su Instagram, ho vissuto. Non sempre le cose belle, spesso problemi familiari, lavorativi, e tante cose da affrontare… Immagino questa non possa essere considerata una regola, ma a me è capitato così.
Se lavoro, se ho delle cose da affrontare è difficile che riesca anche a scriverne subito: bisogna digerirle le cose e metabolizzarle.
Poi magari più avanti sarò capace di farlo, per ora ne sono molto lontano .
Parentesi: queste prime righe originariamente non le ho scritte ma dettate su una app dello smartphone… Ho dovuto tradurne il significato perchè quello che era scritto rispetto a quello che avevo dettato era leggermente differente… Un giorno o l’altro scriverò su due colonne: da un lato quello che avrò dettato e dall’altro quello che l’app avrà scritto, così vi farete due risate…
Tornando all’argomento principale di questo post, la bravura di chi vuole scrivere è proprio quella di escludere le emozioni che non riguardano lo scritto e concentrarsi sugli argomenti che si vogliono sviluppare. Facile a dirsi. Farlo è un’altra storia. Sopratutto quando un post di questo genere nasce tra le pieghe dei pensieri, e in mezzo s’intrufolano le emozioni, che spostano gli argomenti da un tema all’altro, non facendo concludere né uno, nè l’altro.
Un post di questo genere si sviluppa seguendo un idea che emerge mentre la stai scrivendo e se le emozioni ti hackerano il filo conduttore tutto si sposta altrove e il post s’incasina…
Forse per fare questo lavoro non bisogna essere multitasking, ma con un solo , rigido, unico, monolitico filo conduttore…
E io che sono cresciuto con “Jeux sans Frontières” a overdosi di Fil Rouge…